La digestione è un processo lungo e laborioso. Richiede ore di dispendio energetico per riportare all'essenza quello che la natura ha laboriosamente costruito in una complessità di legami chimici. Una fetta di pane, niente di più semplice, ma allo stesso tempo di elaborato. Farina, acqua e lievito. Ma noi dobbiamo riportare tutto alle molecole che compongono ogni singolo ingrediente per apprezzarne la potenza, per potersi nutrire dell'energia immagazzinata in quei piccoli mattoncini. Stessa cosa vale per la digestione mentale. A primo sguardo giudichiamo quello che abbiamo davanti nella sua complessità, non ci soffermiamo ad "assaggiarne" gli ingredienti, lo ingurgitiamo, masticandolo velocemente e ne diamo un giudizio sommario, influenzato, molte volte, anche da altri sapori che abbiamo in bocca (o meglio dall'umore del momento). Questo è quello che ho fatto durante la visione dell'apertura delle olimpiadi.
La giornata era iniziata presto. Una lunga, interminabile passeggiata nella capitale olimpica dai mille colori, spogliata del suo completo "fumo di londra" e acchitata di un rosa-shocking olimpico quasi fastidioso, a volte troppo invadente per i miei gusti. La mostra fotografica, incontrata casualmente sulle sponde del Tamigi, mi aveva letteralmente strappato da quel mondo, dall'orgia sportiva in cui mi ero immerso. Con la malinconia e lo sgomento nel cuore ho deambulato meccanicamente seguendo il flusso della corrente verso Stratford e il villaggio olimpico. La central line correva veloce, una freccia rossa, scoccata da un potente arco, che centra il bersaglio con precisione chirurgica. L'aria è irrespirabile, manca l'ossigeno. Le porte scorrono e qualcuno mi spinge fuori, impaziente di vedere il sacro graal sportivo. Io, capitato nella Londra olimpica solo per fortuito caso, sono uno dei pochi che guarda senza troppo trasporto la magnificenza delle installazioni che mi circondano. Impossibilitato ad entrare nella zona olimpica (naturalmente non avevo alcun biglietto, e non pretendevo neanche mi facessero entrare, era la folla che mi spingeva) ho esplorato alla ricerca di un palo in cui un olimpionico avesse fatto pipì per segnare il territorio. Vuoi perché dopo ore di cammino, piedi doloranti e buco allo stomaco o solamente perché ero curioso di vedere la cerimonia di apertura, mi sono imbattuto in un pub tipicamente inglese che aveva messo a disposizione dei clienti dei maxi schermi che proiettavano la TV inglese e di conseguenza l'evento più atteso dell'anno. Birra, hamburger e papatine, buona compagnia e londinesi in assetto da olimpiade con tanto di Union Jack dipinta sulle guance ci guardano come alieni. Noi che non avevamo una targa, un colore o sigla che ci assegnasse ad una delle nazioni partecipanti. Si sà, l'alcool rende più socievoli e in poco tempo ci siamo trovati in un ambiente piacevole e meno minaccioso. A mezz'ora dall'evento la TV ripercorre i 70 giorni che la fiaccola olimpica ha impiegato per raggiungere lo stadio olimpico. Ho scoperto solo dopo che nell'ultima parte del viaggio è stata accompagnata dal Tamigi e dal biondino marito della Posh Spice, David Beckham. 9pm in punto, ora locale. Inizia lo spettacolo e... pacchiano solo come gli inglesi sanno essere. Scusate lo sfogo, adoro Londra, mi piacciono gli inglesi, ma quell'apertura non l'ho proprio capita. Ci volevano i sottotitoli per spiegare quello che stavano facendo. Una coreografia in costume che ripercorre la storia della Gran Bretagna dagli albori ai giorni nostri passando per la rivoluzione industriale... Poi letti di ospedale con sopra bambini e infermieri, gli anelli olimpici infuocati che scendono dall'alto.
Ancora devo digerire! Che ci posso fare se ho la digestione lenta? E dire che il peridon fa miracoli. Forse il cibo inglese è più difficile da mandar giù.
Scritto da Matteo Bordoni.
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